Oasi Alviano Habitat Italia Valsorda, Gualdo Tadino

Premessa

La Direttiva Habitat rappresenta uno dei principali strumenti normativi finalizzati alla conservazione della Biodiversità in Europa. Essa ha il ruolo fondamentale di porre le basi per un profondo cambiamento nell’approccio alla conservazione della natura dando nuovo impulso a ricerche di base di tipo tassonomico, sindinamico ed ecologico, in campo floristico, vegetazionale e faunistico.

La scienza deve tendere a risolvere i problemi della società che sono legati alla vita e alla sua qualità. Tra questi la perdita di biodiversità gioca un ruolo fondamentale in quanto la varietà delle forme di vita assume valori diretti ed indiretti, di estrema importanza per l’uomo, per il mantenimento della società e dei suoi valori culturali e sociali.

In base alla Direttiva Habitat 92/43 del 21 maggio 1992 è stato effettuato a livello continentale il rilevamento della biodiversità mirante alla “conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica”. Con gli habitat riconosciuti dalla Direttiva (All. I) viene esplicitamente evidenziato il valore del livello di organizzazione fitocenotica della biodiversità mediante le tipologie vegetazionali. In questo modo si realizza direttamente ed indirettamente anche la conservazione delle specie (Allegato II) in quanto la conservazione delle popolazioni si attua mediante la conservazione degli habitat. Di ciascun habitat la vegetazione, oltre ad evidenziare la parte immediatamente percepibile, ci fornisce anche le caratteristiche ecologiche, in base al postulato scientifico della scienza della vegetazione per il quale ad ogni associazione corrisponde una particolare condizione ecologica.

Con la Direttiva Habitat l’Europa si è dotata di una straordinaria rete di Siti con la quale intende conservare gli habitat e le popolazioni di specie animali e vegetali che meglio caratterizzano la biodiversità del nostro continente. Nello stesso tempo sono stati evidenziati elementi di riflessione che condizioneranno il futuro della scienza della conservazione: per la prima volta viene infatti chiaramente espresso il legame tra specie e comunità, per la prima volta si sceglie la sintassonomia fitosociologica come riferimento di base per tutta l’Europa e per la prima volta si intende considerare nella rete dei Siti di Importanza Comunitaria anche porzioni di territorio seminaturali o parzialmente degradate che evidenzino elementi di resilienza verso la vegetazione naturale potenziale. Per la prima volta si riconosce inoltre ad alcuni aspetti del paesaggio antropico un particolare valore di biodiversità e se ne propone la conservazione attiva.

In Italia la Direttiva è stata recepita mediante un dibattito scientifico e una differente volontà di di applicarla a livello regionale, ciò anche perché, nelle prime fasi, il Ministero dell’Ambiente, da poco istituito, non aveva ancora le strutture e le competenze adeguate per poter coordinare e sviluppare con efficacia un programma così complesso. Tuttavia, grazie all’impegno della Direzione per la Protezione della Natura del MATT, in collaborazione con la Società Botanica Italiana e l’Unione Zoologica Italiana, si riuscì a coinvolgere le Università e le strutture regionali al fine di predisporre il primo elenco di Siti da proporre per la costituenda Rete NATURA 2000. In seguito, l’ampliamento delle conoscenze di base e l’efficace ruolo di regia avuto dal Ministero dell’Ambiente, hanno consentito alle Regioni di migliorare e integrare la prima formulazione, definendo una Rete molto estesa e coerente con gli obiettivi proposti.

In Italia il rilevamento degli habitat è stato avviato, in via ricognitiva per gli habitat prioritari, dalla Società Botanica Italiana e completato dalle regioni per i territori di loro specifica competenza. Attualmente il censimento effettuato in Italia ha portato al riconoscimento di 2283 SIC che possiedono i requisiti previsti nella Direttiva.

Nel corso di oltre un decennio botanici, zoologi, fitosociologi ed ecologi hanno lavorato per la prima volta insieme per rispondere alle esigenze di riconoscimento, censimento, cartografia, definizione di criteri e individuazione di indicatori capaci di valutare l’incidenza degli interventi antropici sulle comunità e sulle popolazioni di specie elencate negli Allegati alla Direttiva stessa. Sono stati anni che hanno visto la rinascita delle discipline tassonomiche e sintassonomiche e in particolare hanno visto la rapida evoluzione della cartografia della vegetazione, strumento che si sta dimostrando essenziale come elemento di collegamento tra le discipline di base, il riconoscimento dei paesaggi e delle identità territoriali e la pianificazione ambientale.

Occorre, in merito, ricordare che, nel corso degli ultimi 10 anni, la Direzione per la Protezione della Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha promosso la realizzazione di molte cartografie tematiche particolarmente importanti per sostenere le scelte effettuate nella individuazione dei SIC, tra cui quelle sul clima (fitoclima d’Italia), sulle serie di vegetazione e sulla copertura vegetale reale (CORINE Land Cover - CLC) (AA.VV., 2005; Blasi et al., 2004a; Blasi et al., 2000). Sono state anche concluse e pubblicate numerose indagini a scala nazionale sullo stato delle conoscenze floristiche in Italia, tra cui da segnalare la Check-list della flora d’Italia (Conti et al., 2005) e un volume sullo stato delle conoscenze floristiche (Scoppola & Blasi, 2005). Sono infine aumentate nel corso degli anni le conoscenze sullo stato di vulnerabilità delle singole specie. Nel settore degli habitat purtroppo non è stata ancora avviata una checklist delle comunità vegetali. Le conoscenze sono però molto avanzate, anche grazie ai risultati ottenuti dalla convenzione sulla cartografia delle serie di vegetazione.

Per comprendere appieno lo scenario di riferimento in cui si sviluppò la Direttiva Habitat in Italia, è necessario ricordare che il nostro Paese non ebbe un ruolo particolarmente attivo nella definizione degli “Allegati” alla stessa, sia per quanto riguarda le specie sia gli habitat. Questo ha determinato una mancanza di entità ed habitat meritevoli di conservazione nel nostro Paese, lacuna che ancora oggi non è stata completamente colmata. Non si è ancora aperta, infatti, anche se prevista, la fase di integrazione degli Allegati, se si esclude quanto avvenuto in occasione degli ampliamenti dell’UE a nuovi stati i quali hanno ovviamente potuto inserire i loro habitat e le loro entità floristiche e zoologiche.

In alcuni casi sarebbe necessario inoltre rivedere l’attribuzione dello status di “prioritario”, dato che negli allegati sono presenti specie ed habitat che per distribuzione o ragioni conservazionistiche, non dovrebbero rientrare in questa categoria e, al contrario, ne esistono altri, di grande interesse che non sono considerati tali.

Nonostante queste criticità, la Direttiva Habitat resta un punto di riferimento fondamentale sia nel campo della ricerca ambientale e conservazionistica che nell’attività professionale in quanto sposa totalmente l’approccio ecosistemico della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) ed anticipa i principi della Convenzione europea del paesaggio. L’habitat nella Direttiva è considerato infatti il prodotto combinato dell’evoluzione naturalistica, culturale, sociale ed economica di una porzione di territorio.

Un ulteriore elemento innovativo è sicuramente legato alla capacità della Direttiva di mettere a sistema, ossia in rete, l’insieme dei Siti di interesse europeo e nazionale. È ampiamente riconosciuto quanto sia importante, per garantire la conservazione di una specie o di un habitat, poter contare sulla presenza di nodi e di elementi che ne facilitino la connettività (corridoi, stepping stones, ecc.). Recenti studi stanno dimostrando quanto i SIC costituiscano una rete capace di rappresentare l’elevata biodiversità a scala europea e nazionale, obiettivo a cui non risponde pienamente l’insieme dei Parchi e delle Riserve Naturali, istituiti in tempi diversi e con motivazioni altrettanto diverse (Rosati et al., 2007; Maiorano et al., 2006, Boitani et al., 2002).

Una Commissione di Esperti dell’Unione Europea ha prodotto e modificato in più occasioni il “Manuale interpretativo degli habitat dell’Unione Europea” quale riferimento scientifico per il riconoscimento degli habitat e quindi per la corretta applicazione della Direttiva stessa. Di tale manuale nel corso del 2007 è stata redatta un’ultima versione, in cui sono stati necessariamente aggiornati gli habitat in seguito all’adesione alla UE di Bulgaria e Romania.

Nel manuale è riportata la definizione scientifica dei tipi di habitat sulla base di elementi utili per la descrizione, quali ad esempio le specie vegetali e talora anche animali, i sintaxa e i riferimenti biogeografici e geografici.

Per la Direttiva Habitat si apre ora un periodo importantissimo in quanto si dovrà monitorare e valutare lo “stato soddisfacente” degli habitat e dell’intera Rete NATURA 2000 e nello stesso tempo sarà necessario rivedere e integrare gli elenchi degli Allegati con specie e comunità che attualmente non sono contemplate.

Si apre quindi una nuova fase nella quale sarà nuovamente indispensabile un confronto scientifico approfondito in modo da migliorare e rendere omogenea l’interpretazione della diagnosi degli habitat, così come sarà necessario completare la loro cartografia all’interno dei Siti, utilizzando una metodologia comune che renda confrontabili i risultati ottenuti nelle diverse regioni.

La fitosociologia nell’ambito dell’applicazione della Direttiva non ha esaurito il proprio compito con l’individuazione degli habitat in quanto dovrà dare un contributo molto significativo nella fase gestionale. E’ infatti soprattutto in questa che le analisi sinfitosociologiche e geosinfitoso-ciologiche, svolgeranno un ruolo fondamentale nel definire lo stato attuale degli habitat e prevedere il loro futuro, in funzione delle scelte che potranno essere immaginate correlando i dati geobotanici con altri aspetti naturalistici e con quelli socio-economici.

Invece di impedire a priori la realizzazione di determinati interventi all’interno o intorno ai Siti della Rete Natura 2000, la Direttiva prevede, sia per i piani che per i progetti, una “valutazione di incidenza” sugli habitat e le specie di interesse comunitario legata alla conoscenza della biologia delle specie, della tassonomia e sintassonomia, della dinamica successionale e della caratterizzazione ecologica. I Siti non sono dei parchi e pertanto non è obbligatoria la redazione di un piano territoriale con la relativa zonizzazione mentre è richiesto un approfondimento scientifico per valutare l’impatto di un eventuale intervento sulle popolazioni o sulle comunità per le quali il Sito è stato istituito. A tal fine l’area di valutazione non fa riferimento solo a quella contenuta all’interno del perimetro del SIC. Si richiede, infatti, che venga esaminata l’area necessaria per identificare l’ambito funzionale dell’habitat o delle popolazioni di specie che hanno permesso l’individuazione del Sito. E’ un processo innovativo straordinario in quanto l’eventuale divieto non è legato solo a fattori urbanistici o percettivi ma profondamente legato alla biologia delle specie, alla sinecologia e al dinamismo delle comunità.

In base a quanto indicato e con riferimento alle nuove esigenze in campo gestionale e pianificatorio, la Società Italiana di Scienze della Vegetazione e il Gruppo per la Vegetazione della Società Botanica Italiana nel 2007 hanno voluto, con il contributo di esperti nazionali e internazionali, riaprire il dibattito scientifico organizzando ad Ancona il 43° Congresso Nazionale del 2007 interamente dedicato all’applicazione della Direttiva Habitat in Europa. Di questo importante incontro sono stati rapidamente pubblicati gli atti (Biondi E., 2009) che sono quindi a disposizione della comunità scientifica europea.

In questo contesto così articolato si è inserita la necessità di realizzare un nuovo “Manuale di interpretazione degli habitat di interesse comunitario presenti in Italia", strumento determinante per analizzare e descrivere lo straordinario patrimonio naturalistico italiano, sia per fini conoscitivi che per obiettivi applicativi, quali la definizione delle azioni di gestione degli habitat e dei Siti e le eventuali valutazioni di incidenza.

Il Manuale si è reso necessario anche perché, come si è chiaramente descritto in precedenza, nella fase iniziale non sempre sono stati adottati gli stessi criteri nel riconoscimento dei diversi Habitat. Nel corso di questi ultimi anni molte Regioni hanno già rivisto la propria Rete Natura 2000 e comunque si è aperto un dibattito nazionale che deve necessariamente prevedere una maggiore coerenza nella individuazione e nella valutazione dello stato di conservazione degli habitat.